Lastoria è vera e terrificante. È la storia della marocchina Faitha Mejjati, alias Oum Adam, che ha governato con il pugno di ferro diverse case di donne durante il regno delloStato Islamico a Raqqa, in Siria. Anche se non viene mai nominata, Lubna Azabal la interpreta in Rabia, il primo lungometraggio di Mareike Engelhardt.
Rabia sarà proiettato nei cinema dal 27 novembre 2024.
Sinossi : Spinta dalla promessa di una nuova vita, Jessica, una diciannovenne francese, parte per la Siria per unirsi a Daech. Quando arriva a Raqqa, entra in una casa di accoglienza per le future mogli dei combattenti e presto si ritrova prigioniera di Madame, la carismatica direttrice che gestisce il posto con il pugno di ferro. Basato su fatti realmente accaduti.
Il tema dei giovani europei indottrinati che si recano a Raqqa in cerca di quella che pensano sia una vita migliore è stato affrontato molte volte negli ultimi dieci anni o giù di lì, sotto forma di film e serie - con diversi gradi di successo. E la prima parte di Rabia racconta effettivamente la storia dell'idilliaco insediamento di queste graziose, spensierate e ignare ragazzine in questa enorme e fatiscente villa.
Il film svela un aspetto dello Stato Islamico poco documentato, se non addirittura mai visto prima: l'interno di queste case per le donne destinate a diventare mogli dei combattenti del Daesh. Ed è con stupore che scopriamo, in scene lontane dall'immaginario collettivo, che queste donne sono vestite in stile europeo (quando gli uomini non sono presenti), che fumano sigarette e che provano persino audaci completi di lingerie nella speranza di conquistare il cuore dei loro futuri mariti.
Ma la morte in battaglia del promesso sposo di Jessica, ribattezzato Oum Rabia ("rabbia") al suo arrivo, significa la fine della ricreazione: la ragazza è bloccata in quella che, in realtà, è una prigione femminile. Il film si sposta poi in una spaventosa ambientazione a porte chiuse, mentre si sviluppa una relazione perversa tra Madame e Jessica. In egual misura predicatrice e dominatrice, fanatica e crudele, Lubna Azabal incarna brillantemente il ruolo di reggente onnisciente, guidata dal denaro e dal desiderio di infliggere dolore.
E per spiegare, alla maniera dell'esperimento di Stanford, la formazione del torturatore. Dopo settimane di abusi e privazioni - e una straordinaria interpretazione di Megan Northam- Jessica passa da vittima a torturatore.
Ritmato, duro e avvincente, il film di Mareike Engelhardt si conclude con un barlume di speranza, con un appello (sotto forma di cartoline) per la difesa di queste donne indottrinate, ancora oggi imprigionate nel campo profughi di Al-Hol.
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